Questa domenica sono stato all'Azzurro Scipioni ( http://www.azzurroscipioni.com/ ) , che segnalo con un certo entusiasmo, in apparenza (e credo nella sostanza) una tempio di cinema e poesia (nel volantino c'è scritto <<ingresso gratuito ai netturbini>>), programmato da Silvano Agosti ( http://www.silvanoagosti.com/ ).
Il film che ho visto è stato <<Il portiere di notte>> (1974) della Cavani, un film che parla di noi, degli uomini tutti, dell'impossibile fuga dal male e dal dolore che ci appartiene, del conseguente tentativo di rifugiarsi nell'amore come unica via d'uscita. Parla della follia, mettendone in luce le difficoltà di definizione quando la ragione diviene non più contrapposta o giustapposta ad essa ma subalterna ad una passione che è tutt'altro che animale; è anzi essa stessa , passione e follia, la sola cosa che rimane umana, l'essenza stessa dell'umanità.
Qualcuno storcerà il naso sentendo parlare di amore, magari si sentirà anche offeso, ed allora risulta inevitabile prendere atto che anche qui viene posto un problema di definizione, che il film porterà a soluzione, con esiti imprevedibili e provocatori. Perché i due protagonisti hanno a che fare con un amore puro, crudo, spogliato di tutto quello che non vi appartiene, privo di ragioni, sostegni e facilitazioni, talmente necessario che sarebbe nato in ogni condizione o circostanza, talmente inevitabile che si sarebbe riacceso in ogni istante ed epoca fino a portarsi fuori dal tempo. Entrambi impotenti di fronte alla rete di relazioni in cui si trovano intrappolati, impotenza incosciente ed incurante che è meglio definire, dal loro punto di vista, indifferenza; le loro anime, indifferenti dunque al contorno in cui si trovano immersi, si scaldano presto quando si trovano nude l'una di fronte all'altra, nude come nessuno di noi è mai, arrivando a bruciare insieme a loro tutto il mondo che le circonda. E nella messa in scena dell'arte l'amore arriva a travalicare ogni forza, a trascurare la vita stessa e le stesse condizione necessarie alla sua conservazione, condizioni su cui si regge quella rete che cerca senza successo di soffocarlo. Ma il fuoco arde, si alimenta di esso stesso, arriva a bruciare ogni laccio con cui lo si cerca di avviluppare e non si accorge o preoccupa di quello che brucia incontrando intorno a lui.
Il tempo stesso diventa materia da ardere, perde di importanza al suo passaggio e viene ridotto in cenere; e magra è la consolazione di chi sopravvive al loro assassinio (una trasfigurazione più che una morte) e che del tempo resta schiavo. Il film gioca oltre che sulle definizioni, sulle contrapposizioni: di follia, ragione, amore, odio, tempo, libertà e schiavitù. Chi è affetto dalla sindrome di Stoccolma viene da chiedersi, la protagonista Lucia? O forse anche lo stesso Max? O siamo noi stessi che schiavi del tempo, intrappolati in esso e non vedendo nessuna via di uscita, riusciamo con una certa dose di cinismo ed ambiguità a farcelo piacere, cercando di preservarlo il più a lungo possibile, barattando a volte un istante di vita con un istante di sopravvivenza?
Brava Liliana Cavani che ci fa vedere gli abiti del conformismo che vestiamo senza accorgersene; che facendo gioco su pregiudizi e simbologie arriva a capovolgere le nostre certezze, plasmando due figure che non riusciamo ad inquadrare se non abbandonando quel metro di giudizio acquisito, mettendo da parte gli schemi formali della ragione e della morale che non riescono in questo caso a piegarsi per spiegare quello che succede; perché abbiamo bisogno di plasmare una nuova logica ed una nuova etica per capire quello che si trova di fronte ai nostri occhi e che richiede una spiegazione: un amore che illumina le ombre intorno, esso che illumina quel mondo improvvisamente rabbuiato e che il pensiero costituito non riesce più a schiarire. La prova del fallimento dell'illuminismo, ma questa volta in una chiave non teologica, estetica o trascendentale ma tutta umana, un <<umanesimo>> pieno e rivoluzionario, lambito da tutti quegli aspetti che dell'uomo fanno parte , l'amore e l'odio. il piacere e il dolore, la pietà e la malvagità, la ragione e la follia; e la libertà. La libertà senza nulla giustapposto ad essa.
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RispondiEliminaIl fatto è che seppure precipitassi giú nell'abisso, anche allora, cosí a capofitto e con le piante in aria, sarei contento di star cadendo proprio in quell'umiliantissima posizione, e ci troverei per me della bellezza. Ed ecco che appunto in tanta infamia, d'improvviso, io do principio ad un inno. Ch'io sia dannato, ch'io sia abietto e vile, ma che anch'io baci l'orlo di quel manto, in cui si avvolge il mio Dio; ch'io vada pure, intanto sulle orme del demonio, ma tuttavia son Tuo figlio, o Signore [...].
La bellezza, che tremenda ed orribile cosa! Tremenda perchè impossibile a definirsi: e definire non si può, perché Iddio non ci ha proposto che enimmi! Lí gli opposti si toccano, lí tutte le contraddizioni vivono insieme. [...] Troppi enigmi opprimono l'uomo su questa terra. Risolvili come puoi, e cavati fuori asciutto dall'acqua. La bellezza! Quello ch'io non posso sopportare, è che un uomo, magari di ingegno nobile ed elevato, cominci con l'ideale della Madonna e finisca con quello di Sodoma. Ancora piú tremendo è che qualcuno, che ha già nell'anima l'ideale di Sodoma, non rigetti neppure l'ideale della Madonna, e ne arda in cuor suo, sinceramente, sinceramente ne arda [...]. No, vasto davvero è l'uomo, fin troppo vasto: io lo restringerei! Il diavolo solo, poi, sa che razza di cosa sia: ecco che ti dico! Ciò che alla ragione si presenta come abbominevole, per il cuore, né tanto né quanto, è bellezza!
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Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov.
"È vero, principe, che lei una volta ha detto che la 'bellezza' salverà il mondo?"
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