lunedì 12 marzo 2012

Noli me tangere ossia Gesù e Maria Maddalena al pranzo di Babette


 
Oggi sono rimasto fermo, immobile dinanzi a questa opera ed al mistero che essa racchiude; mistero celato nello sguardo dei suoi  protagonisti, nei loro gesti. Fermo a chiedermi: <<Come è possibile che Gesù abbia formulato simili parole? >>. Il suo sguardo è rassicurante, anche se non completamente sereno. Vi si legge appena un’onda d’inquietudine, un fremito che tradisce forse un qualche rimprovero nei confronti della Maddalena. E queste parole, anche nella forma di un “non mi trattenere”, assomigliano più ad un imperativo che ad un’esortazione, più ad un rimprovero che non ad una preghiera.

 La sua mano indica il Cielo, indica quel Dio e quella missione verso cui è diretto. Ma continuo a chiedermi come possa resistere a quegli occhi disperati che lo implorano, alla preghiera appassionata della Maddalena che con tutto il suo corpo lo supplica di non andare via, di non abbandonarla;  Sì,  lassù c’è il posto alla destra del Padre, che lo aspetta, ma non può essere questo a dare senso a quelle parole ed a quell’atteggiamento che sarebbe altrimenti troppo simile a quello di colui che non si ferma davanti ad un mendicante perché distratto dalle sue faccende; Come fa allora Gesù a non essere toccato dal dolore straziante di questa donna, da quegli occhi che lo implorano a restare, da quelle labbra traboccanti amore che alle labbra di Gesù sono rivolte? Proprio lui che ha a cuore tutta l’umanità, adesso così lontana, può prescindere dal dolore straziante di lei, ora a lui così vicina? No, lui non potrebbe; forse un alto ed istruito prelato, che si preoccupi del bene assoluto più che dell’uomo, potrebbe; forse potrebbe un rozzo asceta che ricerchi Dio nell’astrazione del mondo che la lontananza dagli uomini gli permette ; ma Gesù che è uomo in tutto e per tutto, più di tutto e più di tutti uomo, lui non potrebbe trascurare quella vicinanza; una vicinanza del corpo che è ben più presente e vera di quella spirituale, visto che sul contatto visivo e sensoriale si riaccende l’amore della Maddalena. Non saprei, sono perso, proprio non riesco a capire, cerco altri indizi in qualche sfumatura dello sguardo che forse ho trascurato… ed il pensiero se ne va ad un film che ho da poco visto (anche questo all’Azzurro Scipioni). Si tratta del pranzo di Babette. Il collegamento ad un’analisi attenta non è poi così azzardato: in tal caso è Martina che non cede all’amore per Lorens. Ed anche in tal caso non vi cede perché non riesce a rinunciare alla sua missione. Anche qui c’è un posto alla destra del padre (questa volta reale) per occupare il quale si impone la rinuncia di una felicità tutta terrena, verso cui sarebbe spontaneamente portata. Ma non si può certo dire no a Dio; e dunque al padre, da dove la sua severa figura di patriarca barbuto proviene; e dunque a quella parte di noi che di quell’immagine si è appropriata; una lettura psicanalitica delle tre figure (due presenti ed una evocata) della Maddalena, Gesù e Dio rispettivamente come Es, Io e Superio, che sembra suggerita anche dalla posizione che esse assumono all'interno del quadro, è ricca di conseguenze ma anche molto limitante; Gesù nella sua figura centrale è il perno introno a cui ruotano le altre parti del se, dove la Maddalena viene sacrificata alle proprie alte ambizioni. Ma torniamo ai personaggi presenti nel film e sulla tela per chiederci come sia possibile che Martina e Gesù in tal sacrificio trascinino anche l’uomo e la donna che amano. Se anche il bel gesto di Gesù valesse la salvezza di tutta l’umanità, la sofferenza inflitta alla Maddalena sarebbe dunque giustificata? E’ possibile per la salvezza futura di un’umanità lontana ed assoluta rinunciare alla salvezza di una singola anima, viva e presente? Ed è possibile che la salvezza dell'umanità si regga ancora sul dolore di un singolo? E come può Gesù non rispondere al richiamo immediato di un dolore vicino?  Egli può come Agamennone immolare agli Dei la sua Ifigenia per propiziare una guerra lontana ed insensata? Non credo sia possibile in quanto vi è una palese contraddizione: se questo accadesse l’umanità sarebbe dannata per sempre, e lo sarebbe proprio per quell’impeto alla salvezza che si racchiude nel gesto di Gesù. Ma con l’altra mano Gesù sembra intimare calma alla Maddalena, sembra in qualche modo suggerirgli pazienza. E’ con questo che si lega quella nota di rimprovero nel suo sguardo? E’ forse un noli me tangere nunc, un lasciami andare adesso? Un sacrificio non assoluto ma temporaneo, qualche cosa per cui in fondo vale la pena soffrire, tollerare? Ritornando al film non vi è dubbio che sia proprio l’amore mancato ad innalzare Lorens nella sua vita, a farlo diventare il grande uomo che diviene; lo immagino ancora giovane gettarsi nella mischia di una sanguinosa battaglia con il fervore di chi non ha timore di perdere la sua vita perché ha già perso tutto ciò che la vita gli poteva offrire; Ne immagino la rabbia di chi vuole conquistare il mondo intero per servirlo alla donna che gli ha rifiutato il suo amore;  Ed anche qui un’interpretazione Marcusiana di una realizzazione nel sociale che prende forza dalla rinuncia all’atto d’amore, resta difficile a non cogliersi. Il sublime come precipitato dell’amore. Dio come rappresentazione del sublime.  Dio come conseguenza della rinuncia a Maddalena. Maddalena come creatrice allora, almeno nella forma dell’energia che plasma, di Dio stesso. Si inverte l’ordine delle cose, Gesù non rinuncia alla Maddalena per salire a Dio, bensì lo genera nell’atto stesso della rinuncia. Chissà cosa ne avrebbe pensato lei? Un qualsiasi uomo si sarebbe inorgoglito di aver creato Dio; Ma lei è una donna; e come Donna nemmeno si avvede di una tale cosa, perché tutto scompare di fronte al proprio amore; quello che vuole è Gesù, Dio non gli interessa e forse nemmeno lo vede. La Maddalena come creatrice di Dio non deve occuparsi di lui, come vera e prima forma dell’universo non deve preoccuparsi di nessuno e di nulla che non siano i suoi stessi pensieri. Come ogni forma metafisica primaria da cui tutto si genera, a lei tutto deve inevitabilmente tornare. Ma non riesco a capire se tutto questo dolore e se tutta questa rinuncia assumano un senso.

Martina e Lorens si rincontrano alla fine, sono ormai vecchi, si amano ancora, di un amore impreziosito da anni di rinuncia.

Dio forse non è stato inutile, è divenuto oggetto di quello scambio in cui investiamo per ricevere alla fine un’ amore più prezioso, che abbraccia il mondo intero, unico bene acquistato il quale non possiamo più scambiare con altro, perché è l’unico a cui spontaneamente tendiamo. Se è l’amore che mi costringe a salire, Dio è l’ultimo piano da cui mi sporgerò per poter raggiungere questo terrazzo, dove conto un giorno di poterti rincontrare; mia Maddalena. Ci sara’ una vecchia tavola vestita di bianco, in mezzo alle antenne ed ai panni stesi; il diavolo l’avrà imbandita con le più soavi delizie di questo mondo. Gesù ci aspetterà seduto, gioioso e lieto; ci raggiungerà sul tetto e resterà con noi, riscoprendo la terra in terra dopo averla cercata in cielo. Sceso dal piedistallo degli idoli,  ritroverà nel nostro amore refrigerio a quell'errore ed a quell'unico irrimediabile sbaglio; che nell'amore e nell'errore, che sempre vanno insieme  si richiuda il cerchio con l'Uomo. Nei nostri errori amore mio forse un giorno troveremo anche noi la verità.

Martina e Lorenz si incontrano alla fine, il loro amore è ancora vivo come una fiamma, puro come il filo incandescente di una spada da quella fiamma forgiato. Ma dura di nuovo solo un attimo, il tempo per dirsi definitivamente addio, promettendosi di consacrare quel poco che rimane da vivere a questo sentimento, che ognuno vivrà da solo nel segreto del proprio cuore. Viene da chiedersi perché un amore come questo non possa viversi (che il teorema di Gödel si possa applicare anche in tal caso?), quasi a dimostrare l’impossibilità di calare nella realtà un sentimento puro, per la paura di sporcarlo della polvere e del fango che sulla terra si trovano, nell’assurdità di spendere, come un alchimista, la propria vita a purificare un metallo per portarlo alla sua forma aurea di cui tutto l’universo è composto, per porre poi questa pepita d’oro in una teca di cristallo, da contemplare ogni sera prima di dormire. Di nuovo un <<non mi trattenere>> che ci fa soffrire, perché l’oro ci interessa solo se può ricoprire come sabbia la terra su cui camminiamo rendendone la sua superficie splendida, se ricopre la suola delle nostre scarpe e la corteccia degli alberi, se è la pelle da gettare via di quei frutti che ci offrono dolcezza e nutrimento.  L’oro raro e nascosto in fondo alle miniere non ci interessa invece, preferiamo ad esso l’erba primaverile dei campi e l’aureo tappeto delle foglie autunnali o anche soltanto le mattonelle di questo terrazzo assolato, consumate dalle piogge e spaccate dal gelo invernale. Eccoci allora, stesi su questa terra e renderla scintillante, trasformandone la superficie in oro; come nel quadro del Correggio dove sono d’oro le stoffe della veste della Maddalena come anche i suoi capelli e quelli di Gesù, oro la loro pelle ed oro i loro piedi e la terra che calpestano, oro tra il fogliame dei boschi e nei campi tra essi, oro nella valle in cui si trova questa città che tra poco verrà illuminata dal sole; tutto è oro, anche le foglie verdi se le daremo il tempo di bruciare, anche il cielo azzurro se avremo la pazienza di attendere il tramonto e dopo di esso il crepuscolo. E’ solo nel punto indicato da Gesù, lassù in alto, a destra, che si intravede l’oscurità della miniera.

Madrid, 06/03/2012

1 commento:

  1. Ciao Riccardo, sono venuto a trovarti. E' un blog che ti riflette. Se mi permetti qualche consiglio mettici la faccia, quel tuo volto sognante e tormentato da intellettuale post-esistenzialista. E poi dai una forma alle tue idee, alle tue emozioni: un progetto di ricerca, una trama di sensazioni, tra film, quadri, libri...Vedrai che siamo in tanti che lo cerchiamo, come in tanti cerchiamo di imparare il francese per la curiosità di vedere la realtà con altri occhi.

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