sabato 5 febbraio 2011

Guernica al Reina Sofia

Ho visto il Guernica al Reina Sofia. Le donne con il figlio morto in braccio erano strazianti. Quelle immagini esprimono la rabbia e la disperazione di un animale ferito mortalmente. Ecco, c'era nel loro dolore una passione disumana, un abbandono completo che le restituiva alla loro natura più arcaica. E poi un video sui campi di concentramento tedeschi, dove i cadaveri dei detenuti ebrei venivano spostati con un caterpillar dentro una fossa comune. Nemmeno nelle raffigurazioni medievali dell'inferno si è riusciti a rappresentare la morte, la disgrazia e la maledizione umana in questo modo.
Mi è rimasto stranamente impresso il modo in cui gli ebrei parlavano con i soldati tedeschi nel momento di chiudere le porte dei vagoni in cui erano stipati per essere deportati nei campi. Sulla porta veniva scritto con della vernice un numero: 74, il numero delle persone all'interno. Dall'unica finestrella fuoriusciva un braccio che salutava bonariamente. Nell'istante prima della chiusura della porta, l'ebbreo parlava bonariamente con il soldato. Cercava un contatto con la persona che era davanti a lui, simile a lui nella lingua, ancora nel modo elegante di vestire. Non credo che nessuno dei due sapesse cosa stava veramente accadendo. O forse si presentiva qualcosa e si cercava di prolungare quel momento di cordialità umana e di ritardare quello in cui la porta si sarebbe chiusa.  Credo comunque che da entrambe le parti, in quel momento, si cercava di evitare di capire, si voleva in qualche modo non vedere. Poi, il buio. Per quanto tempo (fossero solo ore) sarebbero rimaste quelle persone chiuse senza luce, senza acqua, senza la possibilità di urinare, a contatto un corpo con l'altro? Quante di quelle persone, anni dopo, consumate fino alle ossa, sarebbero andate a riempire quelle fosse comuni scavate dagli americani.
L'arte nella seconda metà del XX secolo è cambiata drasticamente a causa delle due grandi guerre. Questo cambiamento non è la naturale evoluzione di una tecnica figurativa, non è solo l'espressione di una certa avanguardia. L'arte è cambiata perché ha preso coscienza di cosa l'uomo è capace e se ne vergogna. E' divenuta più libera, vuole forse essere più trasparente per non poter essere in nessun modo accusata di celare con il suo manto le nefandezze di cui l'uomo si è macchiato. Non si interessa più tanto della natura interiore dell'uomo perché la giudica male, perché la conosce. Non serve più rappresentare cosa c'è dentro, basta uno squarcio allusivo per permettere a tutti di guardare al proprio interno. Oppure preferisce esaltare il quotidiano, trovare un'anima negli oggetti di ogni giorno, nei materiali di uso comune; e naturalmente essa riesce in questa sua ricerca. E poi, cosa accadrà quando il quotidiano tornerà ad essere noioso?
21/01/2011, Madrid, visita al Reina Sofia

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