20/06/2014
Oggi, con l'occasione di una passeggiata a Montalto, ho cercato di comprendere come il mio rapporto con la natura si annodi con i miei sentimenti, con le mie ansie, le mie vicissitudini, il mio modo di sentire il mondo e di concepire il rapporto con gli altri.... in una sola parola come esso sia in grado di svelare me stesso.
Oggi, con l'occasione di una passeggiata a Montalto, ho cercato di comprendere come il mio rapporto con la natura si annodi con i miei sentimenti, con le mie ansie, le mie vicissitudini, il mio modo di sentire il mondo e di concepire il rapporto con gli altri.... in una sola parola come esso sia in grado di svelare me stesso.
Ho, è vero, una predilezione nel ricercare l'essenza della natura in quegli scorci che svelano attorno ad essa una traccia umana decadente o decaduta. E' come se la natura vivesse in me una dimensione storica e narrativa, per certi aspetti infantile, dove essa cerca lentamente di recuperare il suo stato di purezza e di eden ancestrale minacciato dall'uomo. E' per me allora una vera gioia ritrovare spazi abbandonati che vengono lentamente riconquistati prima dalle erbacce, poi da rovi, poi dal sottobosco, poi dagli alberi ed infine dal bosco. In questo processo la natura si reimpossessa di questi spazi fagocitandoli lentamente, in un processo digestivo lento, ma inesorabile, alla fine del quale risputa fuori solo plastiche colorate o altri materiali non degradabili, che rimangono a testimonianza della vecchia <<civiltà>>, come le bianche ossa di un'antica preda lasciate a seccarsi al sole. Ora in questa visione sono mescolati insieme diversi aspetti, tra cui annovererei, la sofferenza della deturpazione e l'illusione che essa possa essere sempre riassorbita ed in qualche modo direi divorata da un insaziabile pitone dalla pelle bella ed iridescente; Una generale ostilità verso l'uomo, che mi fa prediligere della natura quelle scene dove essa vi si trova in contrapposizione, conflitto o competizione.
Per ampliare il quadro di tale rapporto occorre anche considerare come, sul versante completamente opposto, io rimanga altrettanto estasiato davanti alle grandi opere umane quando esse si trovano immerse nella natura. E' evidente che in tal caso i meccanismi che vengono ad agire sono quantomeno differenti sostituendosi alla contrapposizione prima descritta, una giustapposizione tra uomo e natura in cui ognuno dei due poli esalta l'altro e lo valorizza; in cui l'uomo partecipa alla natura e la completa con le sue opere. Alla luce di questo accostamento si capisce anche la mia predilezione per l'edera, per il glicine, per la vite americana che riesco ad ammirare pienamente quando si trovano a ricoprire le pareti di un edificio, impreziosendole; In tale caso infatti non è tanto una natura portatrice di bellezza che ingloba o più semplicemente nasconde le volgari fattezze di un edificio, secondo una logica di contrarietà; quanto piuttosto un ricoprire qualcosa per completarlo. A differenza di un albero, forma compiuta e solitaria, l'edera ed il glicine quando immaginati da soli donano un'idea di vacua forma e di malata essenza, che somiglia a quella di un vuoto vestito di fiori e foglie appeso su una sottile stampella di fil di ferro. Nel caso in cui l'edera, il glicine, ma anche la vite, si inerpichino su delle strutture di calce e pietra, la forma della natura veste l'opera dell'uomo dando un beneplacito di appartenenza al suo mondo.
L'albero appunto, rappresenta invece una forma biografica ed in tale termini è apparso a volte nei miei sogni; più precisamente sotto forma di pino; in realtà sotto forma dei pini che abitano appunto il mio piccolo giardino di Montalto. Ricordo ancora con enorme piacere la prima volta che li vidi: erano stati appena interrati, questi sei giovani pini, dentro le loro grandi buche, che erano state da poco ricoperte di terra; ed introno ad ognuno di essi, si era mantenuto un piccolo fossato circolare, per fare in modo che l’acqua non scappasse via disperdendosi intorno. Vedendo le foto di allora sembrano così piccoli e fragili. In quel periodo credo che l’innaffiatura del giardino consistesse nel riempire d’acqua la sera queste fosse di terra, insieme a quella scavata intorno al perimetro del giardino, dove era stata piantata invece, con molta meno lungimiranza, una curiosa specie di <<pinetto>> orientaleggiante, disposto appunto a formare una fitta siepe perimetrale ed avente una foglia azzurra da una strana forma reticolare. Per innaffiare questi <<pinetti>> veniva messo il tubo nel canale che vi si era scavato dietro , proprio in corrispondenza del perimetro, in modo tale da permettere all’acqua di defluire lungo tutto il solco impegnando, in teoria, un unico punto di alimentazione. Ma naturalmente, a causa di difetti nel solco, o di piccole barriere che si venivano a creare con il fogliame secco prodotto dalle stesse piante, l’acqua veniva sempre a straripare fuori dal solco, creando degli enormi pantani su cui poi bisognava camminare per andare a spostare il tubo.
Una delle cose che del mondo vegetale mi affascina maggiormente è la sua lentezza che assomiglia enormemente alla pazienza ed alla costanza. Le sue reazioni agli stimoli sono pacate, il pensiero in realtà non ne è assente, ma, al contrario, esso è un saggio tropismo che non si lascia ingannare dalle vicissitudini del quotidiano.
L'albero appunto, rappresenta invece una forma biografica ed in tale termini è apparso a volte nei miei sogni; più precisamente sotto forma di pino; in realtà sotto forma dei pini che abitano appunto il mio piccolo giardino di Montalto. Ricordo ancora con enorme piacere la prima volta che li vidi: erano stati appena interrati, questi sei giovani pini, dentro le loro grandi buche, che erano state da poco ricoperte di terra; ed introno ad ognuno di essi, si era mantenuto un piccolo fossato circolare, per fare in modo che l’acqua non scappasse via disperdendosi intorno. Vedendo le foto di allora sembrano così piccoli e fragili. In quel periodo credo che l’innaffiatura del giardino consistesse nel riempire d’acqua la sera queste fosse di terra, insieme a quella scavata intorno al perimetro del giardino, dove era stata piantata invece, con molta meno lungimiranza, una curiosa specie di <<pinetto>> orientaleggiante, disposto appunto a formare una fitta siepe perimetrale ed avente una foglia azzurra da una strana forma reticolare. Per innaffiare questi <<pinetti>> veniva messo il tubo nel canale che vi si era scavato dietro , proprio in corrispondenza del perimetro, in modo tale da permettere all’acqua di defluire lungo tutto il solco impegnando, in teoria, un unico punto di alimentazione. Ma naturalmente, a causa di difetti nel solco, o di piccole barriere che si venivano a creare con il fogliame secco prodotto dalle stesse piante, l’acqua veniva sempre a straripare fuori dal solco, creando degli enormi pantani su cui poi bisognava camminare per andare a spostare il tubo.
Una delle cose che del mondo vegetale mi affascina maggiormente è la sua lentezza che assomiglia enormemente alla pazienza ed alla costanza. Le sue reazioni agli stimoli sono pacate, il pensiero in realtà non ne è assente, ma, al contrario, esso è un saggio tropismo che non si lascia ingannare dalle vicissitudini del quotidiano.
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