Vorrei aprire i miei sensi per poter toccare la vita impenetrabile,
come un istrice poter pungere quella fortezza dove tu sei rinchiusa, irragiungibile.
Come un plastico tiratore di scherma,
in un impeto improvviso ed inopportuno
apro il mio corpo intero ai tuoi facili colpi,
rimango ferito, sanguinante ancora,
ripiegato su me stesso a coprire le mie ferite.
Allora penso che adesso basta con questo centellinare la vita a colpi di fioretto.
Visto che non ti posso colpire, visto che non ti posso ferire, visto che non ti posso guarire,
sarebbe meglio lasciare stare, voltarti le spalle ed uscire dalla porta sul retro.
Avevo pensato di poter versare il mio poco sangue per te, goccia a goccia,
impreziosito da questa veste bianca; ma nemmeno questo posso.
Non mi rimane che la strada, incontrare le altre persone vestite d'autunno, il loro incedere regolare su questi marciapiedi che mi portano non so dove. Una piazza, una via, da essa mille altre vie, ne prenderò una, entrerò in un portone, salirò delle scale arriverò in un terrazzo che si affaccia su un orizzonte incerto. Terrò caro il mio poco sangue e cercherò di farmelo bastare il più a lungo possibile.
Come un cactus abbarbicato sulla roccia, il mio corpo nel frattempo è cresciuto a dismisura e le mie radici sono rimaste piccole; ed allora invidio le quercie ed i pini, vorrei espandermi nella tua fertile terra con la loro prepotenza. Ma ho solo spine sulla mia pelle, che pungono l'aria per carpirne i nascosti odori.
Mi basteranno allora le prime fioriture in primavera che mi ricorderanno te.
Arriverà poi da lontano il profumo pungente del mare.
L'abbraccio caldo degli scogli in mezzo alla tempesta mi ricorderà il tuo duro amore.